La capacità dei gatti di entrare in comunicazione con noi umani mi sorprende sempre
Qualcuno li definisce anaffettivi, egoisti, interessati solo ai loro comodi. Parlo dei gatti.
Io li amo, e ho costanti prove di quanto siano abili comunicatori, ed anche conoscitori del genere umano. Certo, ci vuole pazienza.
I gatti sono curiosi, tant’è vero che in casa mia si dice curioso come un gatto, e non curioso come una scimmia. Non ho mai vissuto con una scimmia, ma ho infinite testimonianze della bella curiosità dei gatti.
Basta un minimo cambiamento, per noi quasi impercettibile, e loro vanno a controllare, a verificare. E se il cambiamento piace, lo adottano come SOP (standard operating procedure).
Questo per gli oggetti. Per gli esseri umani sono un po’ più diffidenti: ci studiano e ci mettono alla prova.
Ed ora, da qualche settimana, ho superato a pieni voti la mia prova con Spillo.
Spillo è un gattone, avanti con gli anni, che abita con il mio portinaio. Il suo primo “umano domestico” lo trattava male, così Spillo è diventato estremamente diffidente, e si è anche totalmente innamorato dei Albert (il portinaio) che lo ha portato via dalla sua casa iniziale.
Spillo adora letteralmente Albert, al punto che quando Albert è andato per un mese in vacanza (nelle Filippine) Spillo non ha né dormito né mangiato per due giorni: vagava per casa alla ricerca del suo salvatore, finché qualcuno non ha avuto l’idea di tirar fuori dal cesto della biancheria sporca una maglietta di Albert e mettergliela nella cuccia: sentendo l’odore amato, Spillo si è finalmente tranquillizzato.
Io amo i gatti, e ovviamente ho un debole speciale per i gatti maltrattati. Così per mesi, incrociando Spillo in portineria, mi fermavo a salutarlo.
Per un po’ mi ha ignorato. Poi ha cominciato a rivolgermi un timido “miao”, ma solo quando Albert non era presente (forse non voleva farlo ingelosire). Poi il passo successivo: sentendo la mia voce, usciva dalla portineria e potevo fargli una carezza. Non di più, però.
Poi, un giorno, la svolta: l’ho preso in braccio.
E adesso, al mattino, mi aspetta sullo zerbino alla fine delle scale. Se arriva qualcuno rientra, ma sente il mio passo. E quando mi vede saluta, lui per primo, e si avvicina, a volte di corsa. Mi batte sulla gambe finché lo prendo in braccio: bastano un paio di minuti, poi rientra in casa.
E quando, dopo il cappuccino al bar, torno a casa, devo passare l’ispezione del mio Chopin, che mi sente addosso l’odore di un altro gatto.