Chi lo chiama l’errante, chi il viandante, chi lo definisce l’eremita, sia nei tarocchi che nell’I Ching si trova questa figura, talvolta inquietante. E l’errante c’è anche in uno degli esercizi più toccanti della PNL, quello relativo agli archetipi della trasformazione.
A seconda dello strumento, questa figura ha alcune lievi differenza, ma tante analogie che permettono di identificarlo come un archetipo importante, un passaggio quasi obbligato in alcune fasi della nostra vita.
Nell’esercizio di PNL chiamato “archetipi della trasformazione” il viandante, chiamato anche errante, segue il martire e precede la fase del guerriero.
L’errante rappresenta colui che fugge dal dolore o, più precisamente, colui che ha trovato la forza necessaria per allontanarsi dal dolore e dalla sofferenza.
Dietro di lui c’è solo angoscia, dolore, sofferenza. Non può tornare indietro.
L’errante rappresenta colui che fugge dal dolore o, più precisamente, colui che ha trovato la forza necessaria per allontanarsi dal dolore e dalla sofferenza.
Dietro di lui c’è solo angoscia, dolore, sofferenza. Non può tornare indietro.
Non c’è un luogo che possa chiamare casa. Ha preso coscienza di errori, suoi e degli altri, e sa che deve reagire. Ma non ha una meta. Non ha un luogo dove recarsi. Spera di trovarlo, ma ora è troppo presto. Il suo è un vagare attento, alla ricerca di qualunque cosa, persona, sentimento, risorsa, possa essere utile, ma non può fermarsi.
Nei tarocchi il viandante diventa eremita. Il simbolismo della ricerca viene accentuato. Infatti l’eremita è raffigurato con una lanterna e un lungo bastone, due elementi essenziali per un lungo viaggio nel buio. Ed è proprio quella lanterna, accesa, che dà l’immagine del buio, e fa ricollegare l’eremita all’errante. Nel buio di una vita dolorosa, l’eremita ha trovato una lanterna e un bastone, simboli di una iniziale presa di coscienza e scoperta di errori, ed ha intrapreso il suo viaggio.
Per conquistare lanterna, bastone e mantello, l’eremita ha tratto coraggio dalla carta che lo precede, la forza: ha quindi avuto quel lampo di consapevolezza che gli ha permesso di partire. Ma anche qui non ha meta, e sa che la prima cosa che potrà raggiungere è la carta che lo segue: la ruota della fortuna, che rappresenta una ulteriore consapevolezza di precarietà e caducità.
Nell’I Ching il segno 56 è “Il viandante”. E il suo destino è quello di separarsi, di essere straniero.
Impara quanto è effimera la gioia, scopre quanto è rischioso il possesso. Il viandante dell’I Ching riflette anche sulla giustizia: il nobile è chiaro e cauto nell’applicare le punizioni e non tira per le lunghe i litigi.
Tutte queste figure hanno elementi in comune.
Il viaggio, la ricerca, la solitudine, la caducità.
Perché chi non è in pace con se stesso non può trovare né saggezza né pace nel mondo, e perché nulla è eterno, nemmeno il viaggio, la ricerca e la solitudine.
Perché chi non è in pace con se stesso non può trovare né saggezza né pace nel mondo, e perché nulla è eterno, nemmeno il viaggio, la ricerca e la solitudine.