Mi dicono che questo sia un proverbio piemontese: io lo conosce perché mio marito, milanese, lo cita spesso. L’origine, tuttavia, ha poca importanza, ma il concetto sì, è fondamentale.
La voglia di imparare mantiene giovani, il desiderio di scoprire infonde desiderio di vivere.
Condivido in pieno.
Condivido al punto che quando mi è stato diagnosticato il cancro al seno ho cominciato a fare un elenco delle cose che volevo ancora imparare, mentre fino a quel momento, a parte gli studi scolastici guidati, ero andata a casaccio.
Riconosco che il mio era un meccanismo di autodifesa (far la lista delle cose da imparare), motivato dal timore di non avere tempo e quindi il bisogno di dare alcune priorità. Ovviamente con il termine “imparare” non mi riferisco solo a conoscenze con una componente tecnica o culturale, ma anche all’apprendimento di quelle caratteristiche che influenzano il modo di essere o di affrontare le cose.
Vorrei imparare … a non aver paura di fallire. Questa, probabilmente, è la mia priorità in assoluto. So bene come affrontare i guai, e persino come rialzarmi da una caduta, so di potercela fare, so di averlo fatto. Eppure la paura di cadere rimane. Sì, vorrei imparare a buttarmi con maggiore scioltezza.
Vorrei imparare tutto sulle nuove scoperte di neurofisiologia, essere sempre aggiornata e competente sull’argomento. Mi servirebbero tre vite per farlo, ma ci provo.
Vorrei imparare a … leggere velocemente. No, non è vero. E, per quanto mi riguarda, lo ritengo perfino inutile. Leggo piuttosto in fretta, ma poi mi piace prendermi il tempo per assaporare e digerire quello che ho letto.
Vorrei imparare a …
La mia lista era piuttosto lunga, e ho appena iniziato ad intaccarla.
Poi mi sono accorta che in fondo, bypassando la paura di non avere tempo, trovo molto più divertente quella forma di apprendimento casuale che ho seguito per tutta la vita, guidato dalla curiosità.
No, non mi limito all’apprendimento da settimana enigmistica, mi interessano poco le notizie spicciole, ma la curiosità mi permette di spaziare, mi guida in campi sconosciuti, mi induce ad avventurarmi nell’ignoto.
Poi, a volte, mi innamoro degli argomenti e allora faccio scorta di libri, corsi, siti, dedicati.
C’è un apprendimento orizzontale: pochi dettagli su tanti argomenti. Non si tratta necessariamente di essere superficiali, e men che meno di un giudizio di merito. L’apprendimento orizzontale è ciò che facciamo a scuola, fino all’università, quando molte tematiche vengono affrontate contemporaneamente. Ha decisamente un fascino!
Esiste poi un apprendimento verticale di profondità, tipico degli specialisti: pochi argomenti su cui si impara tutto nei minimi dettagli.
L’apprendimento verticale di profondità è stato tipico del ‘900, soprattutto dal secondo dopoguerra: il mondo degli iper-specialisti. È il mondo degli esperti, lo potete vedere e vivere quando chiedete ad un giovanissimo esperto di computer di spiegarvi qualcosa: linguaggio incomprensibile ai non addetti ai lavori, ma dovete riconoscere che sa davvero tutto sull’argomento (o, per lo meno, ben difficilmente siete in grado di contestarlo!)
Io credo che esista un’altra forma di apprendimento, che si è sviluppato soprattutto dagli anni ’90 del novecento, quando la globalizzazione e la complessità del mondo in cui viviamo (ciò che viene definito modernità liquida, ad indicare che sono spariti molti punti fermi del nostro modo di pensare) ha reso indispensabile sviluppare modalità diverse per approcciare il mondo.
È un apprendimento che io chiamo “di collegamento”: si tratta di vedere le cose da una diversa prospettiva, apprezzando analogie e differenze e la rete che collega argomenti e tematiche che, ad uno sguardo diverso, appaiono lontanissimo tra loro.
Adoro questo modo di imparare: ha la vastità dell’apprendimento orizzontale, la profondità dell’apprendimento verticale e il fascino del pensiero sistemico.