L’esempio di oggi è tratto dalla mia esperienza personale. Quando ho letto per la prima volta questa frase di un antico studioso della Cabala ebraica Nella ricerca della saggezza il primo stadio è il silenzio, il secondo l’ascolto, il terzo il ricordo, il quarto la pratica, il quinto l’insegnamento ho creduto di capire per quale motivo, nonostante le tradizioni di famiglia, mi fossi sempre rifiutata di insegnare, e parlo di insegnare nel senso più ampio del termine.
Io amo il silenzio, mi piace ascoltare, sono curiosa e quindi sperimento, ma sono sempre piena di dubbi, quindi so che non posso arrivare ad uno stadio di saggezza tale da poter insegnare.
Poi mi sono ritrovata, quasi per caso, ad insegnare alcune delle cose che avevo ascoltato e sperimentato: tecniche e riflessioni per il benessere personale. Non posso parlare per chi ha studiato o frequentato i miei corsi, saranno loro a dire se è servito. Ma posso dirvi che, insegnando, si fanno incredibili scoperte.
Perché il rischio dell’abitudine, della convinzione, è sempre presente. Quando si sperimentano tecniche di benessere si possono ottenere miglioramenti rapidi su se stessi e sulla propria qualità di vita.
Ma poi, da soli, non è possibile approfondire le possibili sfaccettature. Ed anche confrontandosi con gli altri, dopo un po’, ci si abbandona al proprio modo di essere e di pensare, e si costruiscono abitudini. Almeno fino a quando la vita offre un nuovo ostacolo da superare, ma non è divertente.
Insegnando, invece, si è praticamente costretti a seguire tutte le sfaccettature che ti offrono coloro che imparano.
Ed è così che si scopre come l’impensabile sia assolutamente possibile, l’ignoto sia reale.
Attenzione, però, a non entrare nel circuito del “giusto – sbagliato”. Non dovete mai considerare “giusto” ciò che insegnate, da contrapporre allo “sbagliato” di chi vede le cose diversamente.