L’Italia è il Paese delle piccole imprese. Anzi, ad essere precisi, da noi buona parte dell’economia è basata sulle micro imprese (meno di 10 persone e fatturato inferiore ai 2 milioni di euro l’anno). È ovvio per tutti che la competitività aumenta se ci si collega ad altre aziende: l’unione fa la forza.
Sappiamo anche che il networking è oggi una strada vincente per trovare lavoro, o portare avanti iniziative.
L’Italia è anche il Paese delle associazioni: ne abbiamo un numero di gran lunga maggiore (in proporzione agli abitanti) rispetto a qualunque Paese europeo.
Sembra che, a dispetto di tutti i buoni propositi e tutta la consapevolezza che per uscire dalla crisi è necessario collaborare, ne siamo proprio incapaci.
Possibile che siamo così sciocchi, sprovveduti, o litigiosi? Cosa serve per collaborare?
Per una buona collaborazione, di qualunque genere, serve una vision condivisa. Non facile, certo, ma non impossibile. Una vision è qualcosa di più, e di meglio, di un sogno. È la vision che manca?
In parte sì, soprattutto manca la chiarezza sulla vision. Ma la maggior parte delle collaborazioni non va a naufragare sugli scogli della vision. Sono molte le cooperazioni che nascono su reciproci vantaggi spiccioli, su comunanza di intenti e interessi comuni limitati nel tempo e nella profondità, e la quota di fallimenti di questo tipo di collaborazioni è simile a quella dei progetti più profondi. L’I Ching, nell’esagramma 61, evidenzia come anche tra briganti possa esistere comunanza di intenti, e per piccoli progetti può funzionare.
A me sembra che le difficoltà siano soprattutto nel perenne e costante giudicare gli altri. Perché siamo un popolo di poeti, sognatori, e giudici. Per quanto in Italia manchi la certezza della pena, c’è la perenne abitudine al giudizio, e come giudici siamo implacabili.
La sospensione del giudizio è una qualità (rara) indispensabile per collaborare. Invece i comportamenti abituali, e più frequenti in Italia rispetto a molti altri Paesi, sono quelli di giudicare sia ciò che fanno gli altri, sia le persone. E, ovviamente, è facile trovare difetti o imperfezioni. Quindi si scatena il giudizio, che inevitabilmente ed inesorabilmente si alimenta con le critiche e non fornisce mai suggerimenti prodottivi. È ovvio: è molto più facile dire cosa non va piuttosto che suggerire miglioramenti o alternative.
Ed è altrettanto inevitabile creare un circolo vizioso: al giudizio si risponde con una reazione. Le collaborazioni dove compaiono giudizio e reazioni anziché suggerimenti e proattività sono destinate a fallire. Senza speranza.