Tutti noi, per le fasi della vita o nella gestione di un’esperienza o nelle abitudini di comportamento, possiamo riconoscerci in un archetipo. E questo vale anche per il medico, nel suo modo di gestire il paziente, e nella sua relazione con la malattia.
È praticamente impossibile che un medico si ponga nell’archetipo dell’Innocente o dell’Orfano in relazione alla malattia: queste sono fasi superate nei primi anni di università. Le uniche occasioni in cui possiamo veder spuntare l’Innocente o l’Orfano in un medico è se si trova ad affrontare la sofferenza in una persona che gli è molto cara, o la sua stessa malattia. Ci sono, ad esempio, aneddoti che girano per le cliniche ginecologiche di direttori di clinica con esperienza trentennale che improvvisamente diventano incapaci di gestire un parto: quello della figlia. È chiaro che, in questi casi, si tratta di un viaggio dell’eroe completamente nuovo, atto ad affrontare un’esperienza che non è in relazione con la sua attività professionale abituale.
Gli archetipi successivi, Martire, Viandante, Guerriero e Mago, sono quelli in cui possiamo collocare la maggior parte dei medici (o dei terapeuti in genere), a cui si aggiunge una quota di professionisti che ha completato il viaggio. Ecco quindi, in estrema sintesi, alcune caratteristiche.
Il medico Martire è probabilmente il più amato da pazienti e colleghi. Vive la professione come una missione, a cui sacrifica se stesso e la sua vita, accetta turni e orari massacranti, dà il suo numero di cellulare a tutti i pazienti e non si nega mai. È indubbiamente a rischio di burnout e, vivendo sempre sotto pressione, potrebbe avere difficoltà nella gestione di ulteriori situazioni di stress o nel prendere decisioni difficili in tempi ristretti.
È attento al paziente, rispettoso dei protocolli, gentile con tutti.
Carla Fiorentini – L’eroe e il paziente – in pubblicazione