In questo, e in prossimi articoli, esaminiamo come il paziente e i caregivers vivono gli archetipi del viaggio dell’eroe che la diagnosi antipatica li induce a percorrere.
Come premessa è importante ricordare che il drago, la malattia, riguarda ovviamente il paziente, ma le difficoltà, e il viaggio, coinvolgono anche familiari e amici.
Ciascuno, dunque, compirà il proprio viaggio, deciderà se varcare la soglia, incontrerà e vivrà gli archetipi, ma molto raramente c’è contemporaneità: l’unica cosa che accomuna, in termini di tempo, il paziente e le persone che gli sono vicine è il momento della diagnosi, che però non è necessariamente consapevolezza della malattia.
Iniziamo, dunque, e iniziamo proprio dall’arrivo del drago, dalla diagnosi, dal momento dell’archetipo dell’Innocente.
L’innocente non vede il drago, non ne ammette l’esistenza e non vuole né vederlo, né riconoscerlo.
L’atteggiamento iniziale è comune al paziente e al caregiver: negare la diagnosi, evidenziare la necessità di ulteriori esami, di una visita presso un luminare, procrastinare il momento di riconoscere che c’è la malattia.
Un altro elemento in comune a paziente e caregiver nell’archetipo dell’innocente è invocare il “ritorno alla normalità”, come se la diagnosi fosse quella di una banale influenza anziché un cambiamento di vita o, talvolta, l’annuncio di una prossima fine della vita.
Il modo di vivere l’archetipo diverge, tra paziente e caregiver, nei residui di quell’innocente che portiamo dentro man mano che passa il tempo.
Una volta iniziato il viaggio, e il percorso di elaborazione, il paziente diventa consapevole.
Spesso, invece, familiari e amici si aggrappano all’anelito dell’innocente dopo un certo periodo di tempo. Lo riconosciamo, noi pazienti, quando abbiamo le visite di controllo e le persone che amiamo non accettano le nostre ansie, o quando un qualunque problema di salute ci fa temere il peggio, e l’amico ci chiede, distrattamente, “Ma adesso va tutto bene, vero?” o, ancora, Sono già trascorsi anni: non hai più motivo di aver paura.
Inutile arrabbiarsi, sentirsi incompresi, trascurati: è l’innocente che parla, che vuole negare che ci siano ancora possibili motivi per quel terrore di cui si è subito l’assalto tempo fa.