Una delle espressioni più comuni per definire una persona forte, affidabile, è “sei una roccia”. Me lo sono sentito dire spesso nella mia vita, pronunciato con intenti diversi e toni molto diversi. Me l’hanno detto con stima, con rabbia, con invidia, con intenzione di approfittarne o anche per sottovalutare i miei problemi (tanto sei forte: arrangiati). Negli anni ho imparato a distinguere, ad apprezzare i complimenti sinceri e rimuovere, cancellare o non ascoltare tutto il resto.
Credo che la forza sia un po’ come il coraggio. Giovanni Falcone, che di coraggio se ne intendeva e ne aveva da vendere, ha scritto: L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza.
La forza ha alcuni elementi in comune: la forza non è la mancanza di debolezze, ma il convivere con le proprie debolezze e paure senza farsene condizionare, senza lasciarle diventar uno scudo o un alibi.
Si può quindi essere forti come una roccia, ma è meglio ancora crearsi un nucleo di acciaio.
La vita ha, infatti, la brutta abitudine di intervenire sulle rocce con il fracking (fatturazione idraulica multi-stadio delle rocce), quel procedimento che frantuma la roccia estraendone gas e petrolio. Essere in una roccia, in questi casi, aiuta ben poco o, meglio, aiuta solo nella misura in cui ci si concentra per scoprire quanto gas e petrolio (leggi: risorse sconosciute) sarà possibile far emergere, recuperare e rendere utilizzabili una volta che la frantumazione è terminata.
Tutto sommato, quindi, ciò che davvero aiuta non è la forza della roccia, ma quel minuscolo nucleo di acciaio, flessibile e temprato dal fuoco e dalle tempeste affrontate. Il nucleo di acciaio è spesso davvero minuscolo, e raramente gli diamo l’importanza che merita. In genere al mondo esterno non interessa: per vederlo bisogna andare ben oltre la superficie. Eppure è lui che si rafforza ogni volta che la roccia si frantuma.