Tra i modelli mentali che desidero ribaltare, o almeno mettere in discussione, la dicotomia tra giusto e sbagliato ha sicuramente un ruolo di primo piano.
Sì, perché la mia anima contestatrice si ribella all’idea che qualcosa, qualunque cosa, sia solo giusta o sbagliata.
Accetto, e accolgo, il contrapporsi tra giusto e ingiusto, laddove uno è equo, imparziale, onesto, e l’altro significa illegittimo, illecito, iniquo, ma tra giusto e sbagliato …
Capisco se parliamo di esercizi di matematica, studi di grammatica, traduzioni in una lingua straniera, ma quando ci addentriamo in scelte e comportamenti ho un forte moto di ribellione.
Purtroppo il depauperarsi costante e continuo del vocabolario di ciascuno di noi annulla le sfumature che, invece, sono essenziali, soprattutto in concetti come questo. Certo, giusto o sbagliato semplifica. Semplifica la vita, come se le possibili scelte fossero su uno stretto binario, rigido, e ogni deviazione fosse drasticamente da evitare poiché, ovviamente, sbagliata. Semplifica anche l’educazione dei figli: no, così è sbagliato, è decisamente più semplice che spiegare perché un comportamento, in una data situazione, è da evitare.
Semplifica? Onestamente il termine mi sembra poco congruo con ciò che, mano a mano, accade a chi esaspera il concetto di giusto o sbagliato.
Già, perché se porto agli estremi le conseguenze significa che ho ben poche possibilità:
- io sono giusto, quindi chi non è esattamente come me è sbagliato, e potete già immaginare cosa comporta
- io sono sbagliato … ed è con questo che si sono dovuti confrontare tutti i ribelli o i creativi di questo mondo.
L’altra, inevitabile, conseguenza è giungere, ad ogni difficoltà importante, alla tristissima affermazione “non ho scelta”.
Non ho scelta perché non posso affrontare una via che ho bollato come sbagliata, quindi mi rimane un unico percorso, quello giusto, anche se mi porta alle peggiori infelicità.
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