Il mio è decisamente un problema generazionale: rimango basita e diffidente verso tutte le promesse cosmiche in tempi brevissimi.
Non credo che siano false promesse tranne, forse, qualcuna.
Non credo nemmeno che sia impossibile oettenere risultati in tempi brevi: lo hanno dimostrato, molti anni fa, quelli della scuola di Palo Alto che per primi hanno sostituito anni e anni di terapie presso psicologi o psichiatri con la terapia breve. Scoperta che ha aperto la stada al coaching e al counseling.
Però qualcosa mi disturba e, dopo essermi adeguatamente colpevolizzata perché sono scettica, mi interrogo sul perché molte di queste affermazioni così promettenti mi danno fastidio.
Sicuramente la mia generazione è cresciuta col culto della fatica premiata: c’è da fare la gavetta, si impara con fatica, devi meritarti le cose, ma da tempo ho superato questo tipo di imposizioni mentali.
E poi c’è, almeno per me, una differenza tra il fastidio per le promesse di facilissimi risultati e l’inneggiare al “definitivo”, sia essa una guida definitiva o una soluzione definitiva.
Il termine definitivo non mi piace proprio. Indica che dopo non c’è nulla da imparare, da scoprire, che non ci sono altre strade o possibilità.
Il tutto subito in frettissima mi disturba per altri motivi.
Credo nelle bacchette magiche: talvolta basta un nonnula o pochi minuti per trovare soluzioni. Ognuno la sua, però. E le bacchette magiche dei babbani funzionano solo quando è il momento.
Molti degli slogan propettano soluzioni esterne, fornite da altri, e a questo non credo. Molti slogan sono, appunto, solo slogan.
E qui subentrano le mie paturnie e la mia, cronica, avversione per le promesse grandiose.