Il pensiero positivo è uno degli argomenti più discussi, e maggiormente “di successo” in questo periodo. Digitando “pensiero positivo”, Google offre ottocentomila risultati in meno di un secondo: articoli, siti dedicati, libri, corsi di formazione. Basta però grattare appena appena sotto la superficie di chi parla di pensiero positivo, e soprattutto di chi lo promuove o lo sbandiera ai quattro venti, per trovare molte contraddizioni, pareri e opinioni divergenti, e ancor più spesso confusi.
In questa fase della mia vita ho ricevuto spesso l’invito a pensare positivo, ho ricevuto in dono libri sull’argomento e ho scelto di leggere molto su questa tematica. Lungi da me smentire Gandhi (Le tue convinzioni diventano i tuoi pensieri. / I tuoi pensieri diventano le tue parole. / Le tue parole diventano le tue azioni. / Le tue azioni diventano le tue abitudini. / Le tue abitudini diventano i tuoi valori. / I tuoi valori diventano il tuo destino). Né voglio mettere in discussione Bruce Lipton e la biologia delle credenze, o la fisica quantistica, o tutte le teorie scientifiche, psicologiche o metafisiche che i fautori del pensiero positivo portano a sostegno. Il web è pieno di spiegazioni, più o meno chiare, di queste teorie.
Però concordo appieno con Massimo Ferrario che, trattando l’argomento nel suo blog (http://masferrario.blogspot.it/2015/02/spilli-pensiero-positivo-e-pensiero.html) sottolinea come un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto non debba necessariamente essere visto come pieno o come vuoto, ma possa tranquillamente essere considerato mezzo pieno e mezzo vuoto.
Per farla breve: io credo nel pensiero positivo, a modo mio. E credo nella felicità come realtà quotidiana possibile.
Conosco persone che, per difficoltà emotiva, paura, o ragioni varie (tutte lecite) ha sempre fuggito ogni forma di intensa sofferenza, usando ogni strumento e mezzo possibile. Poi hanno scoperto che se non accetti di essere infelice non sai nemmeno essere felice: i sentimenti e le emozioni si atrofizzano.
Schiere di psicologi infantili sono pronti a dichiarare, e dimostrare, che se si impedisce a un bambino di soffrire, con paracaduti genitoriali di tutti i tipi o con coercizioni emotive del tipo “se tu sei infelice la mamma soffre moltissimo, quindi DEVI essere felice", ne verrà fuori un adulto profondamente infelice e devastato.
Le difficoltà e la sofferenza hanno un ruolo e un significato, inutile negarlo. E una notte passata a piangere per dolore, tristezza, paura, ha una sua profonda bellezza e umanità.
E allora dov’è il pensiero positivo?
Secondo me, fondamentalmente, il pensiero positivo è nella consapevolezza che ogni esperienza può arricchirci. E non mi riferisco a concetti religiosi.
Una delle frasi più significative è “non conta l’esperienza, ma ciò che ne facciamo”. Questo è pensiero positivo. Il dolore e la gioia derivanti dall’esperienza vanno metabolizzati, digeriti, collegati ad un quadro più ampio, acquisiti come esperimento e come bagaglio. Anche la gioia, certo!
Ma cos’ha a che fare tutto questo con l’azienda? Alla prossima puntata!