Credo siamo tutti d’accordo sul fatto che per creare le sinergie indispensabili ad un buon funzionamento di una rete, o di un gruppo di persone, sia necessaria una vision condivisa. E infatti ogni rete, o team, prima o poi (meglio prima) si ritrova ad esprimere una vision su cui, dopo qualche discussione, tutti dichiarano di trovarsi d’accordo.
Poi le liti, i guai, cominciano lo stesso. Qualcosa non ha funzionato.
Parto da qui per alcune riflessioni, mie. Con l’avvertenza, per i pochi lettori, che sono davvero riflessioni mie, e mai come in questo articolo, e nel prossimo che continuerà l’argomento, valgono le parole di Neruda: “Io qui non vengo a risolvere nulla, sono venuto solo per cantare e per farti cantare con me”.
Ogni volta che mi sono trovata a definire o condividere una vision ho riscontrato due elementi di vitale importanza: le motivazioni dei singoli partecipanti e il significato che ciascuno dà alla frase che esprime la vision.
Parto dalle motivazioni.
Un vision può essere condivisa solo se consente la realizzazione di almeno un desiderio profondo di ciascuno dei partecipanti.
Qualcuno sostiene che per perseguire la vision condivisa ciascuno rinuncia a parte della propria vision in nome del “bene comune”. Non sono d’accordo, non credo ai sacrifici e alle rinunce: prima o poi si trasformano in pretese o rancori. Credo invece nelle sinergie, per cui insieme è possibile ottenere qualcosa in più, o qualcosa di più completo, rispetto a quanto sia realizzabile da soli.
Una buona vision condivisa include, o sottintende, o comunque permette lo sviluppo di obiettivi, mission, valori. È possibile trovare posto per qualunque desiderio individuale.
Proviamo a prendere un esempio concreto. Un gruppo di quattro piccolissime aziende crea una rete per l’internazionalizzazione. La Vision potrebbe essere “creare un business che crea profitto entro due anni in Russia”. È una vision forse poco entusiasmante, ma pienamente accettabile. Abbiamo 4 aziende padronali, e quattro imprenditori: A, B, C e D. Ciascuno di loro può, in tutta onestà, dichiarare che partecipa alla rete perché è consapevole di aver bisogno di sinergie, da solo non potrebbe riuscire. Sembra che tutto sia in regola: hanno persino già deciso quanto investire e affidano ad un manager di rete esterno la preparazione del business plan. Vi sentite tranquilli?
E se vi dicessi che:
- A ha una figlia che ha studiato lingue, compreso il russo, e oggi è insegnante precaria, quindi A spera che ci siano sufficienti risultati per poter far entrare sua figlia
- B ha tentato di entrare nel mercato russo tre anni fa, e ha dovuto rinunciare, e oggi vuole dimostrare a se stesso, alle banche che gli avevano negato i prestiti e al mondo intero che LUI ce la può fare
- C vorrebbe spostare la sua produzione nei Paesi dell’Est perché ha grossi conflitti con i sindacati, e la rete gli serve come test per capirne meglio la realtà
- D vive difficoltà interne da quando i figli sono entrati in azienda, e vuole espandersi per ridurre i conflitti del cambio generazionale, né vuole mollare totalmente il comando perché si sente ancora giovane
Ora vi sentite un po’ meno tranquilli?
Il fatto è che ciascuno di noi ha sempre, fortunatamente, motivazioni egoistiche che lo spingono a fare cose nuove e lo sostengono nelle scelte, nelle attività e nelle difficoltà. E sono queste che fanno sorgere la maggior parte di problemi.
Siamo abituati a ritenere che le motivazioni egoistiche siano negative. Pensate invece che Madre Teresa di Calcutta affermava di fare ciò che faceva spinta dalla gioia che otteneva nel fare del bene. La motivazione non è “il bene che faccio”, ma “la gioia che ne ricavo”: motivazione egoistica. E che risultati per il bene dell’umanità!
Qualcuno non è disposto ad ammettere di avere motivazioni egoistiche, qualcuno non le sa o non le vuole riconoscere, qualcuno non le dichiara … Quante liti e quanti danni in nome del politically correct!
Cosa può fare il manager di rete?
Qualcosa di simile a ciò che fa l’ottimo capo in azienda.
Quando, in azienda, si è in posizione intermedia, capita spesso di poter decidere quali dipendenti motivare concretamente, ma di avere limitato potere decisionale. Mi spiego meglio con un esempio.
- Ipotizziamo di essere responsabile di funzione, con 30 dipendenti. Mediamente hanno lavorato bene,il team ha raggiunto gli obiettivi, e 8 di loro hanno superato gli obiettivi individuali, e ritenete che vadano premiati.
- Dopo dura lotta, ottenete premi per 8 persone, ma la politica aziendale vi vincola. Quindi ottenere: 3 aumenti di stipendio, 2 una tantum, 1 passaggio di livello e 2 vacanze premio.
- Come abbinate le persone con il premio? Non basta guardare quanto tempo è passato dall’ultimo aumento di stipendio, non sempre sappiamo cosa le persone desiderano o si aspettano. Non è neanche il caso di convocarli e far scegliere a loro. Certo, si vanno a vedere gli stipendi e preferisce dare l’una tantum a chi ha già uno stipendio superiore alla media. Certo, si cerca di dare il passaggio di livello a chi ha le skills per dare maggiori risultati all’azienda. Certo, sono tanti i fattor in gioco.
Ma si cerca anche di abbinare le persone con ciò che le motiva di più. E qui entrano in gioco le caratteristiche e i desideri, le motivazioni, dei singoli individui.
Tornando alla nostra rete potete conoscere le motivazioni egoistiche dei singoli imparando a conoscere le persone, facendovi raccontare le loro storie, potete anche riuscire a farvi dichiarare le motivazioni aiutandoli a scoprirle facendo capire che non li state giudicando e che le uniche motivazioni illecite sono quelle illegali o di fregare gli altri membri della rete. O potete comprenderle senza obbligarli a capirle e a dichiararle.
Qualunque scelta si faccia, io credo che siano le egoistiche motivazioni individuali quelle che possono dare una marcia in più, e la possibilità di realizzare le motivazioni individuali è ciò che trasforma una vision su cui si è d’accordo in una vision condivisa. Quando si sceglie una casa valgono una serie di elementi (il numero delle stanze, i metri quadri, il prezzo, il quartiere, …) ma poi c’è un qualcosa per cui ogni membro della famiglia riesce a trasformare la casa nella SUA casa: qualcosa che si aggiunge a tutto il resto, e solo a questo punto quella casa non è più solo un tetto sulla testa, ma un luogo di benessere.
Ma come si fa a lavorare, concretamente, per costruire una vision condivisa o per controllare che sia condivisa davvero? Ci sono dotti testi in proposito. Il mio parere, … ve lo dirò la prossima volta.