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Abbiamo bisogno di piangere?

Abbiamo bisogno di piangere? - Ching & Coaching

Pronta a tornare al lavoro, mi fermo un attimo e penso …

Sono agli sgoccioli delle vacanze, in un meraviglioso clima già settembrino. C’è pace in questo paesino della Val Trebbia che, da ormai 18 anni, costituisce il mio personale Shangri-La. Man mano, nel tempo, ho concesso sempre più spazio al mondo esterno: prima la TV satellitare e ora il collegamento internet, e non ho quasi più scuse, mentre fino a pochi mesi fa chiedevo scusa, ma non potevo accedere al web, e persino il normale cellulare prende poco.

Ed ecco che esplode il terremoto, che fisicamente non arriva fin qui, ma di cui abbiamo notizia in piena notte perché d’abitudine dormiamo col la radio accesa.

Le prime notizie sconvolgono, commuovono. Non è difficile immaginare un altro disastro, anche se inizialmente si spera sempre che i danni e le perdite siano limitate.

Siamo veri esperti di disastri ambientali, noi italiani. E in queste occasioni diamo il meglio e il peggio di noi, dimostrando che forse eravamo poeti, santi e navigatori, ma ormai siamo davvero una manica di teneri ingenui.

Partono i volontari, le collette, le donazioni e tante lacrime. I social e le televisioni sono un incredibile palcoscenico e una fantastica finestra. C’è di tutto. Tra sterili polemiche sui migranti che dovrebbero sloggiare dagli hotel di lusso per far posto ai terremotati emerge la lettera di una terremotata che, con molta semplicità, racconta come i migranti facciano parte della comunità e scavano con gli abitanti di Amatrice, almeno quelli che non sono sotto le macerie con gli abitanti di Amatrice.

Qualcuno già gode della ricostruzione: trapela dalle loro parole e forse, tra qualche anno, sapremo che ridevano al telefono e, per quanto mi riguarda, mi piacerebbe fissare le loro foto come bersaglio per le freccette.

C’è chi, con medievale costanza, tenta un approccio sistemico: il terremoto è una punizione divina perché permettiamo le unioni gay e vorremmo persino liberalizzare le droghe leggere (come se l’alcool e le sigarette, su cui lo Stato incassa fior di tasse, non fossero già droghe leggere liberalizzate).

Poi c’è chi, insieme alle raccolte fondi, organizza raccolte di preghiere per le vittime.

C’è spazio per tutti, anche per le bufale che si sprecano e diventano vere attraverso il condividi o il copia – incolla. Caderci è quasi inevitabile, a volte.

Personalmente trovo sconvolgente il crollo della scuola: appena ristrutturata e con tutti i certificati di anti sismicità in ordine.

Vorrei che si parlasse di come agire per rendere il Paese meno a rischio: ipotesi e proposte concrete, e molti tecnici lo fanno, mentre i politici aspettano che passi il peggio (tanto nell’enfasi dei primi giorni non verrebbero neanche citati dai media) e poi ricominciano a fare dichiarazioni sui fatti loro.

Ma ciò che maggiormente mi lascia il segno, dentro, è la quantità di notizie, video, messaggi e storie che commuovono profondamente. Io fatico a seguire le notizie principali: arrivano le lacrime e gli incubi notturni. Certo, qualcuno fa, a modo suo, una forma di sciacallaggio emotivo, ma questo non è né la prima, né la principale causa.

Mi sembra che siamo un Paese che ha bisogno di piangere.

Da anni viene coltivato il culto del vincente, del tutto è possibile. Bisogna essere felici per forza. Si raccontano i trionfi e si tacciono i dispiaceri. Non è poi tanto strano: le sofferenze sono sempre state argomento di dialogo sommesso con le persone care, ma l’impressione che dialogo, sommesso, persone care, siano termini spariti da un vocabolario che include amici (per la fonte del significato vedi Maria De Filippi) followers ed altre amenità.

Ridere e piangere sono lo Yin e Yang della vita: difficile accogliere l’uno rifiutando l’altro. Ma il pubblico bisogno di successo copre le private tristezze, come quando il mediatore, al mercato delle vacche, urlava più degli altri per concludere gli affari migliori.

Ed ecco che le tragedie aprono le dighe emotive, e finalmente possiamo piangere senza sentirci perdenti. Piangere davvero, non le sterili lamentele. Abbiamo bisogno di piangere e il Paese ce ne offre l’occasione, tra un terremoto e un’alluvione, al punto da dimenticare che molto si potrebbe fare per prevenire o limitare i danni.